Laura Boldrini, Concita De Gregorio e l’Anarchia fantasma della Rete
Un’intervista su La Repubblica pubblicata il 3 maggio 2013 apre un dibattito importante sull’utilizzo della rete, i suoi pericoli e come tutelare i diritti della persona: vuoi per la libertà di espressione vuoi per il diritto alla tutela della propria immagine, onorabilità, reputazione.
I protagonisti sono tutti al femminile e meritano un culturale rispetto: Concita De Gregorio giornalista e scrittrice italiana, Laura Boldrini Presidente della Camera, Internet come strumento di condivisione delle idee, delle opinioni, della conoscenza.
La giornalista riporta la ferma condanna e preoccupazione del neo Presidente della Camera riguardo una tipologia di messaggi, “diffusi nella società e veicolati tramite Internet”, basati: sull’odio, sul razzismo, sulla violenza.
Laura Boldrini racconta la dura esperienza nei primi giorni come terza carica dello Stato, le diffamazioni subite on line, le continue minacce, il timore che anche sua figlia possa subire una danno, non a causa di Internet ma a causa del circo mediatico sempre in cerca di una notizia.
Sin qui non ci sarebbe stato nulla di particolare, se non il titolo del pezzo: “Boldrini: “Io, minacciata di morte ogni giorno. “Non ho paura ma basta all’anarchia del web. La presidente della Camera: sulla Rete campagne d’odio, è tempo di fare una legge. In Italia le donne continuano a morire per mano degli uomini e per molti è sempre e solo una fatalità, un incidente, un raptus.”
Nel titolo c’è di tutto di più: da una parte porre quanti più argomenti possibili, dall’altra incuriosire il lettore nella speranza che legga, capisca e si formi un’opinione costruttiva e infine clicchi su un banner che ripagherà l’editore degli investimenti sostenuti. Questa sono le regole del gioco e che giustificano un titolo scandalistico!
Peccato che nel testo dell’intervista la parola “anarchia” non venga mai citata, che l’intervento auspicato dal Presidente Boldrini sia generico, non indirizzato a tematiche censorie e finalizzato solo a limitare esclusivamente le campagne d’odio e non la libera espressione sul web. A fronte di ciò e nell’incertezza più assoluta si è avviata in Rete la rituale caccia al censore, l’allarme verso il pericolo dell’immaginario “bavaglio”.
Chi si occupa di diritto applicato alle nuove tecnologie comprende che oggi, difendere i diritti della persona offesa sul web, è diventato in Italia un compito arduo e difficile: vuoi per le difficoltà operative in cui si muovono gli investigatori vuoi per una giustizia lenta e male organizzata che rischia di “prescrivere” il diritto di giustizia.
Un esempio concreto tratto dalla realtà di tutti i giorni: Tizio pubblica foto e video della ex ragazza su Facebook, su canali peer to peer o su un sito di incontri. La ragazza viene avvertita da amici, passano alcuni giorni e decide di dirlo ai genitori che contattano lo studio legale specializzato. Lo Studio predisporrà la querela, chiedendo il sequestro dell’apparecchiatura informatica di Tizio e predisporrà, ove possibile, ogni azione nel limitare la diffusione delle foto e dei video contattando i gestori delle piattaforme. In alcuni casi si potrà fermare la diffusione dei contenuti, molto spesso le immagini e i video resteranno in Rete –magari taggati con nome e cognome della ragazza – per i prossimi secoli.
Questo è ciò che avviene nel mio lavoro ogni “maledetta settimana”.
Passano i mesi con sequestri, dissequestri, interrogatori e si arriva davanti al magistrato per vedere che Tizio ha promosso istanza di richiesta di patteggiamento e tutto si conclude con “sei mesi pena sospesa”. Da qui in poi si passerà ad una secolare causa civile per la richiesta risarcitoria per i danni subiti.
Cosa accadono alle foto e ai video della ragazza diffusi mediante file nominati con: “nome-cognome-città-numero di cell o dell’abitazione”? Nulla, resteranno in Rete!
Tutto questo nel dibattito successivo all’intervista non è emerso, non è stata posta una seria riflessione sul diritto all’oblio, non si medita su come poter arginare fenomeni sociali lesivi compiuti attraverso la Rete.
L’importante per alcuni è stato trincerarsi dietro un patetico “salviamo la Rete dal bavaglio”.
La Rete deve mantenere la sua neutralità, una regolamentazione – a mio avviso – dovrebbe ricadere sulle condotte, magari andando a prevedere delle specifiche aggravanti per taluni reati in danno alla persona e perpetrati attraverso il mezzo tecnologico.
Auspico che si apra un dibattito serio e non ideologico sul tema legato alle libertà digitali, magari prevedendo una revisione delle norme e con l’istituzione di un’Autorità specifica che – grazia a competenza e tempestività – sia in grado di operare per la tutela dei diritti.
Nessuno desidera porre delle censure alla Rete, chi mi segue conosce da vent’anni il mio pensiero, la mia intenzione é di studiare ed elaborare normativamente sistemi non di controllo ma di protezione della Rete cominciando proprio da coloro che l’hanno resa meramente “occasione di guadagno economico” piuttosto che “occasione di crescita culturale.”
Il termine “anarchia”, buttato lì per caso nel titolo dell’intervista, è prova evidente.
Internet è per tutti ma non tutti sono per Internet
Un vecchissimo video del 2008 in cui, in un intervento presso una riunione alla Camera dei Deputati, chiedevo che la politica restasse fuori del web.
Le conseguenze cinque anni dopo, sono sotto gli occhi di tutti