La morte di un minorenne ai tempi di Facebook
Anche la morte diventa social, diventa materiale giornalistico da condividere attraverso: una foto, un video, una dedica lasciata su Facebook.
Durante l’ultima notte di Halloween una ragazzina di 16 anni viene rinvenuta cadavere lungo la riva del lago di Bracciano, vicino Roma, i giornali ne danno immediatamente notizia osservando il diritto di cronaca e astenendosi dal pubblicare “nome, cognome o immagine della ragazza” nonostante il positivo riconoscimento da parte dei familiari.
Dopo 24 ore i giornali riportano l’immagine della ragazza, il suo nome e cognome e su Facebook vengono aperti dei gruppi in memoria della ragazzina.
La riflessione che mi pongo è sull’utilità di diffondere i dati della ragazza, magari attingendo alle foto prese dal profilo su Facebook.
La Carta di Treviso è un protocollo firmato il 5 ottobre 1990 da Ordine dei giornalisti, Federazione nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro con l’intento di disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia, i principi espressi sono stati recepiti e rielaborati dal codice di deontologia dei giornalisti, che vede all’art. 7 l’affermazione:
“Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca”.
Il dettato, appena citato, responsabilizza il giornalista a riportare la notizia nell’interesse del diritto di cronaca ma a non fornire elementi tali da permettere l’identificazione del minore coinvolto.
Farà attenzione il buon giornalista a occultare per i fatti afferenti il minore: l’indirizzo dell’abitazione, il nome della scuola frequentata, le generalità dei genitori, parenti, amici che non vanno diffuse, come ogni altro dato che possa indirettamente condurre a lui.
In linea di principio il diritto di cronaca limita la sua efficacia nel fornire i dati del minore:
– quando si può porre a rischio la sua futura serenità o crescita psico-fisica;
– quando si può generare in altri minori un effetto di emulazione;
– quando potrebbe generarsi un pericolo diretto e concreto alla sua salute.
In un solo caso l’identificazione del minore è consentita, ossia quando è posta nell’interesse oggettivo del minore, pensiamo, in linea di principio: quando il minore vittima di un rapimento, di un allontanamento volontario da casa e in tutti quei casi in cui la divulgazione dei dato potrebbe aiutare le forze di polizia nello sviluppo delle indagini.
Tutti questi casi riguardano fatti di cronaca che vedono coinvolti i minori durante la propria vita, ma cosa accade davanti alla tutela di un minore deceduto?
Sembrerà assurdo ma né il codice di deontologia dei giornalisti, né la legge sulla privacy contengono riferimenti su questa fattispecie. Sembrerebbe che la morte di un minore, per la tragicità dell’evento giustifichi l’interesse della collettività ad una conoscenza approfondita del fatto, ivi compresi i dati: nome, cognome, immagine del minore.
Quindi il “diritto di cronaca” sembra prevalere sulla riservatezza del minore defunto, anche se occorre non dimenticare la delicatezza da osservare nei confronti degli altri minori, fruitori della notizia.
Ai tempi di Facebook, in cui ogni persona di minore o maggiore età “da viva” decide di aprire una pagina social, il giornalista dovrebbe porsi autonome regole morali, nell’utilizzo degli strumenti tecnologici sia per la diffusione della notiza si nell’acquisizione della fonte, in entrambi i casi dovrà essere tenuta in considerazione la prolungata disponibilità nel tempo del dato.
Nuove domande e nuove forme di tutela si pongono nella società dell’informazione, occorrerà bilanciare il diritto di cronaca ai social network attuando quella “pietas” verso soggetti sensibili come i familiari del minore deceduto, in particolare i fratelli e sorelle ancora in tenera o minore età.