Facebook non è un tribunale e la giustizia non va strumentalizzata
La scorsa notte, sono stato tra i primi iscritti a Facebook a ricevere la denuncia di una donna maltrattata, percossa e violata nella sua femminilità dall’ex compagno.
Ho riportato l’immagine del naso sanguinante sulla mia bacheca, chiedendo alla community un’opinione sulla scelta della donna di aver voluto pubblicare la violenza subita in un social network e riflettendo sul fatto che prima le denunce venivano fatte presso i Carabinieri e non nel “circo mediatico digitale”.
Qualche minuto, dopo le pagine sui quotidiani telematici hanno abbattuto quella sottile patina di privacy e riservatezza che dovrebbero tutelare i figli minori, indirettamente coinvolti.
La notizia oggi è il pezzo forte delle conversazioni da ombrellone: “Ti ricordi Massimo Di Cataldo, quel cantante caruccio con i capelli lunghi? Ha menato la compagna, devi vedere le foto su Facebook c’è anche il feto nel bidet !”
Questo è il primo risultato che si è ottenuto: il cantante venderà meno dischi, ammesso che ne pubblichi ancora.
La donna vittima di violenza se ha presentato denuncia, presso le Autorità preposte, dovrà affrontare un processo penale in cui sarà chiamata a dimostrare la violenza subita e questo non è facile: testimoni, perizie, circostanze di fatto, incrocio dei tabulati telefonici e alla fine – nella denegata ipotesi qualcosa non dovesse funzionare tra verità storica e verità processuale – rischia di passare dalla parte del torto accusata di calunnia e diffamazione.
Intanto la “Corte di Giustizia mediatica” si è messa in moto.
Interviste ai diretti interessati, agli amici, ai vicini di casa, a chiunque possa conoscere il più piccolo frammento di vita privata delle persone coinvolte: “gli ho visti litigare” dirà il vicino di casa; “lui canta l’amore ma è violento” dirà la fan delusa dal cantante; “lei lo provocava costantemente” dirà l’amica di lui segretamente innamorata; “era una coppia affiatata ma poi…” dirà la perbenista sempre pronta a scaricare la colpa sugli altri.
Concludendo tutti andranno a costruire quel castello accusatorio o difensivo che verrà riportato nel verbale dei giornali di gossip, ho scritto gossip e non Giustizia.
Poi ad autunno arriva la grande mareggiata televisiva.
La Sig.ra Anna Laura Millacci racconterà la sua storia al pubblico televisivo pomeridiano, al pubblico domenicale e infine per ricevere l’oscar in prima serata sarà invitata in una trasmissione, per parlare di violenza sulle donne, con la riproduzione del plastico del feto caduto nel bidet.
Si, dimenticavo, non bastava un naso sanguinante ma occorreva mettere anche il feto espulso e fotografato nel bidet, occorreva costruire una regia da film dell’orrore in cui sulla stessa bacheca fotografica sul profilo Facebook convivono la primogenita che gioca al mare e il feto del fratellino/sorellina che non si svilupperà mai.
Il dolore e lo scandalo sono serviti, i media sono conquistati, ma la Giustizia e l’Umanità ormai sono smarrite e la colpa non è del Web.