Le mafie aggregano sui social nell’indifferenza generale
Presentato alla Camera dei Deputati il primo rapporto “Le mafie nell’era digitale”, prodotto dalla Fondazione Magna Grecia a cura di Marcello Ravveduto. Grazie a questo importante lavoro, oggi scopriamo come i boss mafiosi e i loro affiliati siano riusciti a organizzarsi trasformandosi in ‘influencer’ capaci di promuovere le proprie attività abbracciando i principali social network come Facebook ma soprattutto Instagram, Twitter e Tik Tok raggiungendo così un pubblico di giovanissimi.
Il modello del mito mafioso mostrato nel film Scarface è ormai superato, relegato ad un livello di educanda se posto a confronto con i moderni messaggi social veicolati sulle piattaforme digitali in cui: spaccio, risse in strada, arresti, domiciliari, liberazioni, lusso e potere vengono decantati ogni giorno trovando milioni di follower.
Stiamo perdendo la battaglia della legalità, come possiamo convincere un adolescente che desidera le scarpe da 800,00 euro (Nike TN, Air Jordan e Dunk Low) che non potrà averle se continuerà a studiare per poi aspirare ad uno stipendio di 1.400,00 euro al mese? Meglio – penserà – spacciare subito fumo e cocaina a scuola o in discoteca e così in pochi giorni avrà ai suoi piedi le luccicanti scarpe da 800,00 euro. Così purtroppo funziona e chi non lo vede o è cieco o non percepisce il pericolo che è sotto gli occhi di tutti.
Sui social si enfatizza il lusso, le ragazze disinibite, le macchine costose e veloci, l’abbigliamento pacchiano e tamarro dei maranza, moda ispirata dai narcotrafficanti sudamericani e dalle serie televisive italiane come Gomorra e Suburra. I Maranza sfilano ovunque, con il borsello e il cappellino Gucci, con la tuta appariscente e li vediamo in metropolitana e in piazza Duomo a Milano, ma quanti sanno l’origine di questo abbigliamento?
Sui social il criminale è stato sdoganato, non c’è più l’alone di vergogna o di pudore di un tempo, il delinquente viene visto come uno deciso che nella vita ha capito cosa vuole e come ottenerlo, non importa come, l’importante è raggiungere il lusso, il potere, la visibilità che gli altri “onesti cacasotto” non raggiungeranno mai.
Provate ad aprire TikTok, con un minimo di ricerca vi troverete migliaia di video in cui si attinge a piene mani all’universo neomelodico e trap dialettale: si va, ad esempio, da “Rispetto ‘e libertà” di Nello Amato e “Nu carcerato” a “Pistole nella Fendi” di Niko Pandetta, che, come si evince dal titolo, mescola vita criminale (pistole) e lusso (Fendi). Non marginali sono il ruolo e l’attività dei profili di coppia, spesso gestiti dalla compagna del carcerato che, con estrema devozione, gli dedica video e canzoni in attesa del ritorno a casa – che come sempre – è auspicato da una ingiusta detenzione. (cit. rapporto)
Sui social emergono alcune categorizzazioni predominanti dei video di TikTok dedicati alla criminalità: quello commemorativo per gli affiliati morti o quello celebrativo per chi è in carcere o ha un ruolo apicale nel clan, infine, quello che può essere definito propagandistico e denigratorio dei rivali e soprattutto dello Stato, delle forze dell’ordine, della magistratura.
Il messaggio subliminale è sempre lo stesso: “la colpa è dello Stato, non c’è lavoro, voglio il lusso e me lo prendo spacciando” perchè dovrei rinunciare ai beni materiali nella mia vita? Non siamo tutti uguali a questo mondo? Perchè il figlio di Fedez può avere il casco di Iron Man e mio figlio Ciro la maschera di carta di Zorro? I social ci hanno insegnato che la società è orizzontale, quindi se lo Stato non mi pone nelle condizioni di ottenere ciò che voglio me lo prendo a modo mio!
Questa è l’aberrante tesi che spesso si evince dai video sui social, in cui si esalta la criminalità rimaneggiando strumentalmente i valori sociali su cui poggia la legalità di uno Stato.
L’allarme è stato lanciato anche dal giudice Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, che grazie al lavoro di Marcello Ravveduto autore del rapporto “Le mafie nell’era digitale” ha analizzato oltre 20 mila commenti a video YouTube, 90 GB di video su TikTok per un totale di oltre 11 mila filmati virali e 2 milioni e mezzo di tweet.
Se leggete il rapporto comprenderete come le mafie si stiano accreditando tra molti giovanissimi che cedono a fenomeni criminali come le “stese” a Napoli, le risse tra baby gang, le rapine, lo spaccio, gli atti di bullismo, la becera violenza e non possiamo più pensare che tutta questa criminalità non abbia nei social network una importante cassa di risonanza.
Chi a questo punto non percepisce il pericolo dei messaggi mafiosi sui social è complice delle mafie.